Angera di Storie – Progetto MELA

da | Mar 20, 2025 | Blog

Cosa succede quando ci si può prendere il tempo di guardarci intorno e indugiare in qualche chiacchera, andare oltre la superficie di ciò che si vede passando – anche quando si passa lenti camminando – e si decide di osservare? Succede che i luoghi si dischiudono e iniziano a raccontarsi, lo fanno attraverso i loro dettagli spesso minuti e allora bisogna essere un po’ cercatori d’oro e un po’ collezionisti. Succede anche che posti piccoli e vuoti sembrano grandissimi e densi. Questo è quello che è successo sabato 1 marzo con la prima uscita della rassegna “Angera di storie” realizzata all’interno del progetto MeLa – Musei Educativi Ludici e Accessibili realizzato in collaborazione con il Museo Archeologico di Angera. Per iniziare bene abbiamo deciso di farlo partendo dalle basi: dal pane, dall’acqua e dal vino!


A guidarci Anita Bianchi, naturalista e guida ambientale escursionista con la quale abbiamo un rapporto di collaborazione che è diventato molto presto di amicizia. Nessuno meglio di lei per accompagnarci in questo giro per Angera: ogni volta che si menziona il museo diffuso si illumina “Angera è piena di cose da dire!”.

Ci ritroviamo tutti – e questa volta siamo davvero tanti, 25 iscritti – nel piazzale antistante l’imbarcadero e ci immergiamo (solo metaforicamente per oggi) nel primo elemento: l’acqua. 

Il legame tra Angera e l’acqua sembra ovvio, è lì da vedere nella sua bellezza sempre diversa e mai scontata: è il lago. Tuttavia in pochissimi di noi – molti dei quali hanno fatto migliaia di km di “vasche sotto l’Allea” nella loro vita – sanno che a questi tigli un tempo i pescatori stendevano le loro reti ad asciugare al sole (guardando bene in qualche tronco pare che ancora si possa incappare nei vecchi chiodi). Eppure il legame con il lago non si è limitato solo alla pesca: l’acqua era prima di tutto una via di comunicazione, e il lago maggiore una vera e propria autostrada nei collegamenti commerciali di buona parte della storia antica. Angera rappresentava uno snodo strategico tra le vie d’acqua e di terra che collegavano il centro Europa e le Alpi con l’Adriatico.

Il filo conduttore del nostro lavoro all’interno del progetto MeLa è quel filo capace di cucire non solo i luoghi ma anche i tempi. Vorremmo davvero trovare quei tasselli che permettono al presente di dialogare con il passato e viceversa, perché i paesi non sono quelli bloccati nel tempo di una cartolina, ma sono essere vivi e dotati di vita fintanto che ci saranno le persone a farli vivere. Uno di questi tasselli è sicuramente Anna Brovelli, o, come è conosciuta ad Angera, l’Anna del Cantiere. La andiamo a trovare e ci accoglie al piano terra di casa sua, in quello che fino a due anni fa era l’ufficio dell’omonimo Cantiere Nautico Brovelli. Delle signore non bisogna mai svelare l’età, e noi quella di Anna non ve la diciamo certi che tanto non la indovinereste mai e quindi rimarrà un segreto. 

Anna inizia a raccontarci la sua storia da suo padre, perché era lui che in famiglia aveva ereditato la passione e il mestiere di maestro d’ascia. Uomo dell’800 era andato ad affinare la sua tecnica all’estero ed era finito a lavorare in Francia per un’azienda che produceva i primissimi aeroplani: lui si occupava delle fusoliere. Rientrato in Italia e a Ranco aveva continuato il lavoro di costruttore di barche, di lancie per la precisione. Anna vorrebbe studiare per diventare architetto, ma in famiglia ci sono le disponibilità soltanto per formare il primogenito che sta già studiando ingegneria navale a Genova.


Cosa fare allora? Di fatto è cresciuta tra le barche, tra il legno e l’acqua e proprio non ce la fa a pensarsi rinchiusa in un ufficio (al suo primo prestigioso impiego dura 2 giorni “mi sembrava di stare dentro un container”). A soli vent’anni decide così di ampliare il cantiere con una parte dedicata al rimessaggio delle barche e di specializzarsi nella vela. Si rivelerà una scelta vincente che la porterà ad incontrare personaggi del calibro di Piero Chiara, Dino Ciani. Non vi diciamo oltre in primis perchè queste storie perdono di fascino se non sono raccontate dalla voce energica ed ironica di Anna, e in secondo luogo perché presto quella voce la potrete ascoltare impressa nella Banca della Memoria grazie ad un’intervista che i partner di progetto di EARS stanno realizzando. 

È giunto il momento di lasciare l’acqua e, affinché non arrugginisca, di mettere nello stomaco qualcosa di solido. Passiamo quindi al secondo elemento di questo viaggio: il pane.

Matilde Vanetti ci aspetta puntuale sulla porta per darci un assaggio (anche questo solo metafisico per il momento) del ricco patrimonio che il Museo Archeologico custodisce: ci sono reperti di tutte le epoche storiche, una teca tattile dove sono state riprodotti fedelmente e con le tecniche preistoriche oggetti di caccia e di vita quotidiana, c’è persino la ricostruzione con stampante 3D di un capitello romano. Ma soprattutto c’è l’ormai famosissimo pane di Angera. Gli antichi romani usavano bruciare durante il rito funebre (che avveniva appunto per cremazione) dei panini di diverse forme al fine di propiziare al defunto il viaggio e la vita nell’aldilà. Negli anni 70 alcuni di questi panini carbonizzati vengono ritrovati negli scavi della necropoli di Angera, oggi luogo “segreto” nel senso che non è stata riportata alla luce e giace ancora sepolta dalla terra nei pressi dell’attuale cimitero. Degli archeologi molto intraprendenti non ci hanno pensato due volte: li hanno fatti analizzare e hanno recuperato la ricetta di questo pane vecchio di 2000 anni!

Ma la storia sarebbe morta qui, ferma al passato remoto, se non fosse per un’altra realtà intraprendente del paese: il panificio Giombelli. È lì che siamo diretti nella nostra tappa successiva.


Romina ha allestito nel panificio all’angolo tra Via Mario Greppi e Via Paletta una piccola mostra per raccontare come sono passati dall’analisi di laboratorio ad un pane che ha conseguito il riconoscimento di prodotto di denominazione comunale. Frumento, segale, lievito di birra e castagne, questi gli ingredienti dei panini realizzati nella classica forma a michetta quadrata e la più sfiziosa treccina. Facciamo qualche assaggio (questa volta per davvero) e riprendiamo le energie per il pezzetto più lungo di cammino che ci attende. Se anche a voi interessa fare un tuffo nella gastronomia romana, il Panificio Giombelli sforna il pane di Angera tutti i giovedì e sabato mattina.

Attraversiamo Angera in direzione del San Quirico, il colle che domina il paese e ne segna il suo confine verso nord. Passiamo attraverso stradine dai muri a secco che lasciano intravedere la sommità dei filari: un tempo Angera era un territorio di viticoltura, oggi a produrre vino sul territorio è rimasta l’azienda agricola Cascina Piano. Ci accoglie David, il vignaiolo che ci accompagna a fare un giro per i terreni. Penso che tutti noi presenti, girato il primo angolo, abbiamo pensato che non può che crescere un vino speciale con un panorama così!

David ci racconta del tipo di vino che viene prodotto e dell’attenzione che l’azienda pone nella tutela del territorio e della sua biodiversità. “Ci stiamo sempre più orientando verso viti resistenti, cioè capaci di far fronte alle malattie perchè non tutti forse sanno che la viticoltura rappresenta appena il 3% della produzione agricola a livello europeo, ma consuma ben il 70% dei pesticidi”. Esploriamo la cantina dove avviene la fermentazione e l’affinazione dei vini rossi e bianchi che l’azienda produce. Cascina Piano produce 4 rossi, 2 banchi, uno spumante e un distillato – li trovate tutti sul loro sito – e ognuno racconta una storia del territorio a partire dall’etichetta. Noi ci sediamo e ci prepariamo ad ascoltare e ad assaporare questi profumi fino adesso solo immaginati. Spoiler alert: sono buonissimi!! 

Degustiamo due calici (più rabbocchi vari) gustando un panino davvero gourmet preparato per noi dalla Gastronomia storica di Angera, il Del Torchio.


Rinvigoriti dal cibo e riscaldati dal vino siamo pronti per raggiungere l’ultima tappa del nostro giro a caccia di storie. Lasciamo Casina Piano per addentrarci nel bosco dove costeggiamo un piccolo torente fino ad incappare nella Fonte Edvige, o per i local Funtana Ciosa. Si dice che per essere veri angeresi bisogna abbeverarsi a questa fonte. Scherziamo è solo un’allusione ad altre fonti che millantano appartenenze meno alpine e più padane, del resto le storie a volte partono dal reale per diventare fantastiche!

Come si dice dulcis in fundo, risaliamo la scarpata e mangiamo insieme un po’ di chiacchiere sempre del Giombelli prima di rientrare verso il centro del paese.

Quante cose nasconde la piccola Angera, e siamo solo all’inizio di questa caccia di storie!


Scritto da: Caterina Salvo

ammappala #6

E anche questa rassegna giunge al termine. Ma se pensate che le nostre ambizioni possano restare chiuse nelle celle dei cronoprogrammi di progetto, non ci avete capiti fino in fondo.   Lo scorso 26 gennaio è stata l’ultima uscita di AMMAPPALA, la nostra rassegna 2024...

Ammappala EXTRA

Il 3 novembre ci siamo addentrati nella val Veddasca, nel nord della provincia di Varese, per raggiungere Garabiolo, da dove ci siamo incamminati verso il paese di Campagnano e, nello specifico, verso la chiesa di san Martino, situata al confine tra il centro abitato e il bosco. Qui, sulla parete rivolta a Sud-Est dell’edificio, si trova un’immensa meridiana che risale alla seconda metà del ‘700 e che è stata restaurata proprio da Roberto Baggio (il famoso gnomonista, non l’altro) nel 2007.

Ammappala #5

La quinta uscita del progetto Ammappala ci ha portati a camminare da Angera a Sesto Calende, in una giornata a stretto contatto con un materiale antichissimo e potente: la pietra. L’uscita era accessibile a persone ipovedenti o cieche e all’insegna dell’arte e dell’arteterapia. La sfida? Provare a godere di una collezione di arte scultorea senza partire necessariamente dalla vista, anzi, provando ad esplorare le possibilità di fruizione che si aprono a noi proprio quando gli occhi si chiudono.

Ammappala #4

Il 20 luglio tracciaminima ha compiuto 4 anni! E, prima di ogni altra cosa, GRAZIE. A tutte le persone che ci hanno seguito, sostenuto o semplicemente incontrato in questi anni. A chi si è fidato delle nostre proposte e ha puntato la sveglia per venire a camminare insieme a noi, a chi si è fermato a parlare, a chi ci ha stimato e ci ha lanciato delle sfide. Grazie, davvero. Il senso di tracciaminima è proprio quello di incontrarvi e, se vi va, costruire insieme qualcosa di bello.